A cura di Alessandro Zollo, Ceo di Great Place to Work® Italia
La generazione di mezzo dei lavoratori italiani è mediamente meno soddisfatta dei propri colleghi, è numericamente la più rappresentata nelle nostre analisi e si lamenta della mancanza di leadership e coesione all’interno delle aziende. La cosa che più conta per loro è lo smartworking e il benessere all’interno del luogo di lavoro.
Negli ultimi 10 anni si è fatto un gran parlare di Millennials, di come siano diversi, digitali, poco “fedeli” e “pourpose-oriented”. Poco si è detto e scritto sulla generazione di mezzo: quella che va dai 35 ai 44 anni, definita “Xennials” dalla scrittrice Sarah Stankorb in un articolo su Good Magazine nel 2014.
Quando lavoravo in una delle aziende “Big 4” di consulenza, ci veniva spesso mostrata un’immagine di una barca in cui la generazione di mezzo era ai remi, i professionisti più esperti al timone e le persone più giovani in acqua con una corda e un salvagente.
Non so se l’immagine avrebbe dovuto farci ridere o terrorizzarci, presumo la seconda, ma mostrava graficamente come la generazione di mezzo fosse il reale motore dell’imbarcazione.
Non è cambiato molto da allora, infatti,
se andiamo ad analizzare gli oltre 40.000 pareri dei dipendenti che abbiamo raccolto nelle analisi di clima del 2018, su 136 aziende, emerge che la generazione di mezzo, non è solo la più numerosa (35% del campione) ma è anche il punto di approdo alle posizioni “senior”, cioè quelle che danno un contributo determinante alle aziende e al Paese.
I dati ISTAT sono leggermente diversi dai nostri: per l’Istituto di statistica nazionale, infatti, la classe di età più rappresentata nella forza lavoro italiana è quella tra i 45 e i 54 anni (29%), mentre gli Xennials sono la seconda più rappresentata con una percentuale pari al 26%.
Le differenze tra il campione di Great Place to Work® e il dato nazionale risiedono nel fatto che, mediamente, le aziende che svolgono analisi di clima sono aziende moderne, più giovani e provenienti dal settore privato, caratteristiche queste riconducibili ad una popolazione più giovane rispetto alla media nazionale.
Se andiamo ad analizzare le posizioni lavorative in dettaglio, però, scopriamo che questa generazione di mezzo non ricopre posizioni apicali: solo il 4%, infatti, si classifica come Direttore contro il 9% nella generazione dai 45 ai 54 anni e l’11% in quella sopra i 54 anni.
Il 96% degli Xennials ha contratti a tempo indeterminato, contro l’81% dei lavoratori nella classe 26-34 e il 50% di quelli con meno di 26 anni. Sono in leggera maggioranza uomini (51%) e per il 74% hanno familiari di cui si devono prendere cura. E’ interessante notare come la distribuzione per genere dei lavoratori resti equilibrata fino ai 44 anni mentre, assistiamo al crollo della presenza femminile al 41% nella classe 45-54 e infine al 27% per le over 55. Questo dato è frutto sia dell’abbandono del lavoro femminile a seguito della maternità, sia della scarsa partecipazione al mondo del lavoro delle donne “Baby Boomers”.
Il profilo che emerge da questo spaccato demografico è quello di un lavoratore o una lavoratrice con contratto a tempo indeterminato, con famiglia e con una posizione di responsabilità ma non direzionale.
Se passiamo ad analizzare come vive il proprio lavoro il nostro Xennial, verifichiamo subito che non è quello più soddisfatto. La curva della soddisfazione al lavoro, misurata tramite il Trust Index© (l’indice che sintetizza la fiducia che le persone ripongono nei loro responsabili, il legame con il proprio lavoro e i buoni rapporti con i colleghi), mostra infatti una classica forma ad U. Quando si entra nel mondo del lavoro, infatti, si è più frizzanti e speranzosi, si impara molto ed ogni cosa è nuova. Per queste ragioni l’Indice di Fiducia è più alto. Con l’avanzare degli anni, la fatica, il ripetersi di alcune attività, le responsabilità e i carichi familiari aumentano le esigenze della generazione di mezzo e, quindi, minano la soddisfazione al lavoro.
Con il passare del tempo però,
nelle organizzazioni meritocratiche si fa carriera acquisendo ruoli di gestione e di prestigio mentre i figli crescono e diventano meno esigenti in termini di tempo; ecco quindi che i professionisti ritrovano quella fiducia che qualche anno prima si era affievolita.
Abbiamo condotto uno studio statistico sottoponendo il nostro questionario di clima aziendale ad un campione rappresentativo della popolazione lavorativa italiana. Da questo studio è emerso come l’indice di fiducia dei lavoratori italiani non superi il 44% (il dato è riferito alla media delle risposte positive raccolte tramite le 58 domande del nostro questionario). Negli Xennials il dato è perfino più basso: 42%. In Italia, quindi, si entra nel mondo del lavoro con una discreta fiducia (53%), che cala poi nell’età tra i 26 e i 34 anni al 47% e tocca il fondo con la classe di mezzo a 42%. Nelle età successive il Trust Index© risale leggermente al 44%.
Ma come si comportano le migliori organizzazioni d’Italia, quelle che riescono ad accedere alla classifica Best Workplaces 2019?
Anch’esse non sfuggono alla classica forma ad U ma partono da un sontuoso 85% fra i più giovani (+32% rispetto al dato medio italiano) per poi scendere ad un 80% sia per la popolazione tra i 26 e i 34 anni (+33%) sia per gli Xennials (+38%).
L’Indice di Fiducia risale quindi ad un 83% per la classe 45-54 anni (+ 39%) e chiude ad un 84% per i maggiori di 55 anni (+40%).
Da questi dati si evincono due considerazioni molto importanti: la prima è relativa all’enorme distanza che troviamo tra le aziende in classifica, quelle per cui l’opinione dei propri dipendenti conta, e il resto d’Italia.
Quasi 40 punti percentuali in media di differenza sono un’enormità che suggerisce un nuovo spunto sul perché l’Italia sia in una situazione di stallo economico e mancanza d’innovazione. In secondo luogo, all’avanzare dell’età cresce la differenza tra le aziende migliori e il dato medio italiano. Questo dato è invece spiegato dalla mancanza di meritocrazia in Italia. Solo nelle organizzazioni meritocratiche, dove la carriera viene fatta da coloro che hanno meritato sul campo le promozioni, l’Indice di fiducia, a seguito della flessione delle classi 26-34 e 35-44 anni, risale quasi al livello degli under 25. Nelle media delle realtà italiane, purtroppo, questo non avviene.
Ci chiediamo, a questo punto, quali siano gli argomenti che la nostra generazione di mezzo considera più importanti nel valutare il proprio luogo di lavoro.
I temi principali possono essere riassunti in due punti: leadership e coesione. Per quanto riguarda la leadership, gli Xennials lamentano la mancanza di un reale coinvolgimento da parte dei propri responsabili, la presenza di favoritismi e la scarsa disponibilità all’accettazione degli errori commessi in buona fede. Per quanto concerne la coesione, la classe di mezzo evidenzia la mancanza di collaborazione ed attenzione reciproca fra i colleghi, il senso di squadra e la non eccessiva abitudine al festeggiamento degli eventi speciali.
Oltre all’analisi di clima, il nostro questionario prevede anche la risposta ad alcune domande aperte che ci hanno permesso di studiare, attraverso un algoritmo di intelligenza artificiale, circa 16.000 commenti scritti dai dipendenti delle aziende che si sono laureate “Best Workplaces” lo scorso 15 marzo 2019.
Approfondendo l’analisi di questi commenti, gli Xennials evidenziano alcuni temi tipici della propria età anagrafica. Mentre i giovani lavoratori valutano positivamente l’atmosfera del proprio luogo di lavoro, il coinvolgimento, il senso di famiglia e il lavoro di squadra, la classe di età 35-44 reputa con maggior favore la flessibilità, lo smartworking e l’attenzione al benessere delle persone attraverso programmi dedicati di welfare aziendale. Man mano che aumenta l’età anagrafica, emergono apprezzamenti per tematiche valoriali ed etiche così come grande attenzione viene data all’innovazione.
I nostri Xennials, infine, riprendono parte delle caratteristiche sia della generazione X sia della Y;
hanno la fortuna di aver vissuto e respirato il mondo analogico, ma si trovano a proprio agio anche nel mondo digitale che hanno contribuito a creare. I lavoratori di questa generazione di mezzo sono quelli che numericamente e praticamente spingono le organizzazioni verso il futuro ma non sono ancora arrivati in massa nelle posizioni di comando, lamentano una leadership forse un po’ appannata dei propri capi e la mancanza di un reale gioco di squadra nelle loro organizzazioni. Tutti temi affrontabili, a patto che non si tocchino i loro punti cardini: smartworking e benessere.
Articolo di di Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work® Italia
I dati di Great Place to Work® raccolti nel 2018 non costituiscono un campione rappresentativo della popolazione italiana. Sono i dati di quelle organizzazioni che si candidano alla nostra certificazione e alle classifiche “Best Workplaces Italia” o che intraprendono percorsi di consulenza e miglioramento del clima organizzativo.